ASSOCIATI E RETRIBUZIONE

Retribuzione soci

Secondo il Ministero del Lavoro no.

Si legge infatti nella nota n. 18244 del 30 novembre 2021 che

“Con riguardo alla possibilità per le Odv di ricorrere, nei limiti di cui all’articolo 33, a prestazioni retribuite svolte dai propri associati, si ritiene preliminarmente utile sintetizzare le argomentazioni sulla base delle quali il richiedente ipotizza la possibilità di una risposta positiva. In primo luogo, il richiedente argomenta che la facoltà di ricorrere alle prestazioni lavorative (quindi retribuite) dei propri associati – attribuita esplicitamente alle associazioni di promozione sociale dall’articolo 36 del CTS – non incontra, per le ODV, un divieto espresso nell’articolo 33 comma 1. Ciò pur restando fermo il divieto generale in capo a quanti svolgano nei confronti di un determinato ente prestazioni volontarie, di svolgere al contempo anche attività retribuite. In assenza di apposite previsioni di legge, il richiedente sostiene che non potrebbe militare contro la possibilità che l’associato svolga prestazioni retribuite in favore dell’ente di appartenenza, un eventuale richiamo a quanto già previsto dall’articolo 3, comma 3 della legge n. 266/1991, che specificamente imponeva la gratuità alle prestazioni degli associati.

Neppure si potrebbe, sempre secondo il richiedente, considerare consentita la retribuibilità delle prestazioni degli associati solo a fronte di una effettiva previsione di legge (come nel caso delle Aps), in quanto da un lato tale interpretazione, ove applicata a tutti gli enti del Terzo settore con l’unica eccezione delle Aps comporterebbe a suo avviso una disparità di trattamento tra le Aps e tutti gli altri enti del Terzo settore; dall’altro la stessa colliderebbe con il principio di libertà contenuto nella Costituzione, secondo cui tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge dovrebbe essere consentito.

A fronte delle sopra riferite argomentazioni, la scrivente, nel formulare le proprie osservazioni, ritiene preferibile ricorrere al criterio interpretativo della logica sistemica del quadro normativo complessivo del Codice del Terzo settore, caratterizzato, oltre che da elementi comuni connotanti l’intero complesso degli enti appartenenti al Terzo settore, da differenziazioni interne tra le varie tipologie di essi.

Il Terzo settore infatti, pur delimitato da un perimetro definito dal legislatore, non presenta affatto, al proprio interno, una totale uniformità tra le varie tipologie di assetti possibili al proprio interno: spetta anzi agli enti stessi, facendo uso dell’autonomia ad essi riconosciuta, individuare (anche variandola nel tempo se necessario) la tipologia organizzativa che meglio consente a ciascuno di essi, in un determinato momento della propria vita, lo svolgimento delle attività prescelte e la realizzazione delle finalità generali proprie degli Ets ma declinate da ciascuno secondo le proprie specificità e la propria storia e identità, poste alla base del rapporto associativo e/o della destinazione patrimoniale.

Anche la continuità storica tra gli istituti precedentemente regolati dalle leggi n. 266/1991 e n. 383/2000 e quelli attualmente disciplinati rispettivamente dal capo I e dal capo II del titolo V del Codice non è priva di significato: il legislatore codicistico non ha inteso snaturare gli istituti esistenti quanto piuttosto inserirli tutti, secondo criteri logico-sistemici, all’interno di una cornice unitaria in grado di superare le precedenti frammentazioni, sovrapposizioni e incongruenze, di ricomprendere le forme più recenti, di consentire e agevolare eventuali percorsi modificativi ed evolutivi degli enti, percorsi prima consentiti solo a prezzo della perdita della qualificazione o comunque di conseguenze particolarmente onerose.

Ciò non deve intendersi, in concreto, come un’attenuazione delle distinzioni esistenti tra le diverse tipologie di enti (ciascuna di esse, al contrario, mantiene la propria identità, ad esito di un lungo percorso storico e giuridico), quanto piuttosto nell’individuazione, a fianco di enti caratterizzati da disciplina più rigorosa, di enti meno rigidamente regolamentati; nella modulazione, per ciascuna delle diverse tipologie, di un regime differenziato sulla base di caratteristiche specifiche, mantenendo peraltro un complessivo favor del legislatore verso lo svolgimento, con modalità sussidiarie rispetto a quelle degli enti pubblici, per finalità ritenute meritevoli, senza fini di lucro, di un range di attività, puntualmente individuate come di interesse per la collettività.

Sulla base di questa logica, a fronte di specifiche differenze tra gli enti, la previsione di regimi diversificati, fondati sulla correlazione tra benefici e vincoli, sulla proporzionalità tra i primi e i secondi, sul mantenimento di questi ultimi, ove necessari a preservare, pur aggiornandole, identità specifiche frutto di situazioni risalenti nel tempo, non può essere considerata fonte di discriminazione. Alla luce di quanto sopra, è possibile formulare alcune considerazioni relative alle ODV e APS e alla loro particolare collocazione rispetto ai restanti enti del Terzo settore. Entrambe hanno forma giuridica necessariamente associativa; per entrambe sono previste analoghe limitazioni relativamente alla tipologia di enti che possono accedere alle rispettive basi associative, così da garantire una prevalente omogeneità tra la qualificazione delle stesse e quelle dei relativi enti aderenti; per entrambe (e solo per esse), nell’ambito delle associazioni del Terzo settore, è posto l’ulteriore requisito della necessaria prevalenza dell’operare volontario delle persone associate o di quelle associate agli enti che ad essi aderiscono; solo per esse, conseguentemente, opera il limite al ricorso di prestazioni retribuite. Deve dedursene, nella logica sistematica prima richiamata, che in tali tipologie, diversamente da quanto previsto per gli altri Ets, la presenza dei volontari è necessaria e non soltanto eventuale. La regola generale è infatti che gli Ets “possono” avvalersi di volontari (art. 17 comma 1), mentre la regola specifica, comune ad entrambe, è che le stesse debbano avvalersene, nell’operare, “in modo prevalente”. In altri enti a disciplina specifica, le imprese sociali, collocate all’estremo opposto di una ideale linea sulla quale collocare le varie tipologie di enti, la regola è ribaltata: le imprese sociali “possono” avvalersi di volontari, ma il numero degli stessi non può superare quello dei lavoratori; rispetto alle prestazioni di questi ultimi, inoltre, le prestazioni dei volontari devono mantenere caratteri di complementarità e non sostituibilità (art. 13 comma 2 del d.lgs. n.112/2017). Oltre agli elementi che accomunano Odv e Aps rispetto ai restanti Ets, deve prestarsi attenzione alle distinzioni tra le due tipologie poste dal Codice. Con specifico riguardo ai limiti numerici posti dal Codice, nel caso delle Odv il limite è unico (rapporto dipendenti/volontari); per le Aps vi è la possibilità di far riferimento al rapporto dipendenti/volontari o in alternativa al rapporto dipendenti/associati. Tali limiti, quindi, dando concreta attuazione alle disposizioni sulla prevalenza già rinvenibili nelle precedenti leggi 266/1991 e 383/2000 sopra evidenziate, introducono una differenziazione specifica, a cui si aggiungono ulteriori distinzioni. Le Odv svolgono le proprie attività “prevalentemente in favore di terzi”, le Aps possono operare indifferentemente “in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi”. Con riguardo agli assetti organizzativi e alle cariche sociali, tutti gli amministratori delle Odv devono essere scelti all’interno della compagine associativa e ad essi non può essere attribuito alcun compenso; per le attività di interesse generale svolte dalle Odv, esse possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Viceversa, non si rilevano disposizioni analoghe a carico delle Aps.

Anche relativamente alle imposte indirette e al regime fiscale, Odv e Aps pur differenziandosi entrambe dalla generalità degli altri Ets, in virtù di alcune disposizioni comuni (art. 86), sono tuttavia destinatarie di disposizioni specifiche per ciascuna tipologia (art. 82 comma 3, art. 84, art. 85). In sintesi, nell’ambito del Terzo settore, Odv e Aps, quali enti a disciplina particolare, oltre ad essere accomunate da taluni elementi di similitudine, divergono tra loro per caratteristiche e per la presenza di disposizioni specifiche. Tra le caratteristiche comuni, la necessaria prevalenza delle attività svolte volontariamente dagli associati e la connessa individuazione, per entrambe, di limiti al ricorso a prestazioni lavorative retribuite, disposizioni non rinvenibili nella disciplina degli altri enti. Nel quadro normativo complessivo sopra analizzato, la disposizione che consente alle Aps di avvalersi delle prestazioni lavorative retribuite dei propri associati, collocata all’art. 36 e quindi avente carattere speciale, non è presente nella corrispondente disciplina relativa alle Odv (art. 33, ugualmente avente carattere speciale). Conseguentemente l’estensione alle Odv della facoltà consentita alle Aps risulta problematica.

Ciò, in primo luogo, perché come ben noto, il carattere speciale di una norma riguardante uno specifico ente non è suscettibile di estensione per analogia a soggetti diversi da quelli per cui la stessa è posta; in secondo luogo, perché se in via analogica è teoricamente possibile colmare un eventuale vuoto normativo presente nella disciplina di una determinata fattispecie recuperando aliunde una determinata disposizione, non è invece consentito alterare la portata di una disposizione esistente ed ex se completa, rispetto alla quale dovrebbe al contrario valere la regola secondo cui “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.

In altri termini, se il legislatore avesse voluto disciplinare uniformemente le due situazioni avrebbe avuto davanti a sé due strade: tanto prevedere in entrambi i casi la facoltà, quanto in entrambi i casi ometterla: in entrambe le ipotesi, la lettura sarebbe stata la stessa per entrambi gli istituti. Dato che così non è stato, in quanto solo nell’articolo 36 risulta presente la disposizione facoltizzante, il ricorso all’analogia risulta forzato e non praticabile sulla base di una lettura che tenga conto della logica e della specialità di ciascuno dei due istituti. Pertanto, non risulta legittimata, stante la differente formulazione delle relative disposizioni, la piena equiparazione dei due regimi. Con riferimento invece ai restanti enti del Terzo settore, il silenzio del legislatore assume un significato ancora diverso: se nel caso di Aps e Odv il legislatore ha posto limiti e  vincoli alla possibilità di avvalersi del lavoro retribuito degli associati, nulla prevedendo con riferimento alle altre tipologie di enti, anche a disciplina particolare, deve ritenersi che nei confronti di tali tipologie trovi  spazio il generale principio di autonomia degli enti all’interno dei limiti stabiliti dalla legge.”

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