Le Asd dovranno scegliere se entrare o meno nel registro unico, ramo promozione sociale. Ma potrebbero anche voler assumere la qualifica di imprese sociali. I pro e i contro l’assunzione della doppia qualifica di Asd e Aps. Interessate oltre 100 mila organizzazioni
Da tempo si discute in merito alla possibilità per un’associazione che promuove attività sportiva dilettantistica di qualificarsi come ente del terzo settore (Ets) e sull’opportunità, per la stessa, di assumere la doppia veste di associazione sportiva dilettantistica (Asd) e di Ets, o meglio di associazione di promozione sociale (Aps).
Rispetto al primo quesito la risposta è scontata: il legislatore ha indicato tra le attività di interesse generale l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche. C’è chi eccepisce sul fatto che non sia stata introdotta la tipologia “associazione sportiva dilettantistica” all’interno delle diverse fattispecie di enti del terzo settore, ma se così fosse avvenuto, tutte le Asd si sarebbero dovute iscrivere, facendo di fatto confluire il registro Coni all’interno del registro unico nazionale degli enti del terzo settore (Runts).
Per quanto riguarda il secondo quesito, è invece necessario evidenziare che le associazioni sportive dilettantistiche non sono obbligate ad assumere la qualifica di Ets e che ce ne sono alcune che non potranno farlo o che potrebbero non essere interessate a farlo.
Nonostante non ci sia obbligo, quindi, rimane possibile per una Asd iscriversi al Registro Coni e, in qualità di Aps, anche al registro unico del terzo settore.
Molti dubbi sono stati sciolti dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate 18/2018, la quale non esclude l’assunzione della doppia qualifica ma evidenzia come le Asd che decideranno di qualificarsi come ente del terzo settore andranno a perdere:
Questo significa che ci potranno essere Asd che non presentando i requisiti per qualificarsi come associazione di promozione sociale non hanno interesse ad assumere la qualifica di Ets in quanto perderebbero l’agevolazione indicata alla lettera a).
Allo stesso tempo, ci potrebbero essere associazioni sportive dilettantistiche che pur avendo i requisiti per qualificarsi come Aps non sono interessate ad acquisirlo in quanto presentando ricavi commerciali superiori ad euro 130.000, ma inferiori ad euro 400.000, accederebbero ad un regime fiscalmente molto più oneroso rispetto a quello previsto dalla Legge 398.
In sintesi, è possibile assumere la doppia qualifica ma potrebbero esserci associazioni sportive dilettantistiche non interessate ad assumerla.
Un ulteriore dubbio è stato sollevato in merito al rischio per le Asd-Aps di perdere i benefici dell’istituto del “compenso sportivo o rimborso forfettario”. Si tratta di un istituto che non gode ad oggi di una definizione giuslavoristica, fatte salve le novità che potranno entrare in vigore con i decreti attuativi alla Riforma dell'ordinamento sportivo, la cui delega è stata di recente licenziata dalla Camera dei deputati (n. 1603 bis – A). Esiste ad oggi, infatti, esclusivamente una definizione fiscale agevolata, facendo riferimento all’art. 67, primo comma, lettera m) del Tuir, nella categoria dei redditi diversi, qualora il reddito non sia conseguito nell’esercizio di arti e professioni o in relazione alla qualità di lavoratore dipendente
Il dubbio è stato sollevato in quanto il Codice del terzo settore introduce per la prima volta una definizione della figura del volontario valida in qualsiasi ambito, evidenziando che lo stesso non può percepire rimborsi forfettari. Possiamo quindi affermare che i percettori di compensi sportivi non sono qualificabili come volontari.
È stato inoltre sottolineato come l’articolo 16 del codice del terzo settore preveda che “I lavoratori degli enti del terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”, con ciò evidenziando così che l’istituto del compenso sportivo contrasterebbe con la norma citata. Si ritiene però che tale norma non possa che essere letta con riferimento ai dipendenti, non beneficiando neppure i lavoratori autonomi del medesimo trattamento normativo previsto per i dipendenti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.
Sul tema il professor Antonio Fici evidenzia nell'articolo "La riforma come opportunità per le associazioni (e le società) sportive dilettantistiche" che:
"Deve peraltro ritenersi che per una Asd non vi siano ulteriori conseguenze negative derivanti dall'assunzione dell'ulteriore status di Aps. In particolare, rimarrebbe invariata ed applicabile alle Asd-Aps la disciplina fiscale di cui all'art. 69, comma 2, Tuir (esenzione del reddito imponibile dei compensi sportivi fino a 10.000 euro per periodo)".
Sgombrati, quindi i dubbi rispetto all'assunzione della doppia qualifica di associazione sportiva dilettantistica e di associazione di promozione sociale, per quali motivi fare questa scelta?
Innanzitutto perché qualificarsi come associazione di promozione sociale garantisce la possibilità di promuovere anche attività diverse da quelle sportive dilettantistiche come quelle di natura ricreativa, culturale, aggregativa che oggi molte Asd realizzano. Basti pensare alle associazioni che organizzano attività sportive per i nipoti e al contempo la tombola per i relativi nonni, o l’associazione che organizza nel corso del centro ricreativo estivo attività sportive, sostegno nei compiti per le vacanze e laboratori teatrali. Oggi possono decommercializzare i corrispettivi specifici versati dai soci anche con riferimento a tali introiti nel momento in cui queste attività sono indicate nello statuto, quando entrerà in vigore la parte fiscale del codice del terzo settore (ossia dall’esercizio successivo a quello di funzionamento del registro unico e acquisito l’assenso della Commissione europea sui nuovi regimi fiscali) tale beneficio sarà subordinato all’acquisizione della qualifica di associazione di promozione sociale.
Inoltre, apre le porte ai percorsi di coprogrammazione e coprogettazione con le pubbliche amministrazioni, consentendo anche la stipula di convenzioni, garantisce maggiori benefici fiscali ai propri donatori, introduce maggiori agevolazioni fiscali sotto il profilo delle imposte indirette, in futuro garantisce un regime sulla fiscalità diretta per alcuni versi più agevolato (art. 79 del Codice del terzo settore), autorizza l’utilizzo della sede a prescindere dalla destinazione urbanistica con conseguenti minori oneri per l’associazione e, secondo la legge delega di riforma del terzo settore, è condizione per avvalersi “prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale” o per esercitare “attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici”.
Misurare i soggetti potenzialmente interessati ad assumere la qualifica di enti del terzo settore non è semplice, non disponendo di dati ufficiali aggregati, ma di sicuro le disposizioni interessano migliaia di enti.
Interrogando il data base del registro Coni risultano aver correttamente completato la procedura di iscrizione, al 10 luglio 2019, 87.534 associazioni e società sportive dilettantistiche ma si tratta di una fotografia parziale, sia per i soggetti che potrebbero essere impegnati nel perfezionamento della procedura, sia per la presenza di organizzazioni, come le fondazioni sportive, che non possono essere iscritte nel citato registro ma che potrebbero diventare enti del terzo settore generici o imprese sociali.