Cosa prevede la nuova legge piemontese sul Terzo settore

Approvata all’unanimità nel marzo scorso, arriva dopo quelle di Toscana, Molise, Umbria ed Emilia-Romagna e ha diversi punti di contatto con le altre norme regionali. Un’analisi degli aspetti più rilevanti all’interno del quadro nazionale

Proseguono gli interventi normativi delle Regioni in materia di Terzo settore. È ora il turno della Regione Piemonte con la legge regionale n. 7/2024, recante “Norme di sostegno e promozione degli enti del terzo settore piemontese”, approvata nel marzo scorso all’unanimità dal Consiglio regionale piemontese. Si tratta della quinta legge regionale sul tema in seguito all’approvazione del codice del Terzo settore (Cts) del 2017, dopo la legge regionale Toscana n. 65/2020 (Norme di sostegno e promozione degli enti del Terzo settore toscano), la legge regionale Molise n. 21/2022 (Disciplina del terzo settore), la legge regionale Umbria n. 2/2023 (Disposizioni in materia di amministrazione condivisa) e la legge regionale Emilia-Romagna n. 3/2023 (Norme per la promozione ed il sostegno del terzo settore, dell'amministrazione condivisa e della cittadinanza attiva).

Come quella toscana, molisana ed emiliana, la legge piemontese assume l’ampia prospettiva di attuazione del codice del Terzo settore nell’ordinamento regionale (mentre quella umbra si è focalizzata sull’aspetto del rapporto fra Pa e Terzo settore per una migliore definizione dei procedimenti di amministrazione condivisa). Ciò risulta ben chiaro dall’oggetto della legge (art. 2), diretta a i) disciplinare le sedi di confronto fra la Regione e gli enti del Terzo settore; ii) determinare i criteri e le modalità con i quali la Regione promuove e sostiene il Terzo settore, “nel suo complesso”; iii) definire le modalità di coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore nell’esercizio delle funzioni regionali di programmazione, indirizzo e coordinamento e nella realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni della comunità regionale.

Le finalità e i principi della legge piemontese (art. 1) sono simili a quelli delle altre leggi citate, specialmente a quelli della legge regionale Toscana. Si afferma infatti che la Regione “riconosce, promuove e sostiene l’autonoma iniziativa delle formazioni sociali per lo svolgimento di attività di interesse generale e di rilevanza sociale ai sensi degli articoli 2, 3, 4, 18, 32 e 118, quarto comma della Costituzione, valorizzando la funzione delle formazioni sociali sorte dalla loro libera iniziativa” (co. 1). All’interno di tale ampia categoria, è riconosciuto “il valore, la funzione sociale, l’autonomia e l’autogoverno degli enti del Terzo settore che operano e svolgono la loro attività nell’ambito regionale” nelle forme indicate dall’articolo 4 del codice del Terzo settore (co. 2). Gli enti del Terzo settore (Ets) di cui all’art. 4 Cts sono dunque individuati come un sottoinsieme di un ambito più ampio di formazioni sociali la cui autonoma iniziativa è dalla Regione riconosciuta e promossa.

Particolare attenzione merita il co. 3: “La Regione riconosce e valorizza le formazioni sociali costituite in gruppi informali, associazioni, fondazioni, enti morali, filantropici e organizzazioni di volontariato anche privi di personalità giuridica, non qualificati come enti del terzo settore ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 117/2017, nonché tutte le altre forme di protagonismo civico, variamente denominate”. Come noto, la medesima disposizione era presente nella legge Emilia-Romagna, ma è stata dopo poco oggetto di una significativa modifica, operata dall’art. 27 della legge regionale n. 7/2023, che ha espunto il problematico riferimento a “enti filantropici ed organizzazioni volontariato non del Terzo settore”. Quelle di “ente filantropico” e di “organizzazione di volontariato” sono infatti qualifiche che il codice del Terzo settore ricollega esclusivamente a determinati enti che possiedono specifiche caratteristiche indicate dallo stesso Codice. Pertanto, il Cts precisa che “l’indicazione di organizzazione di volontariato o l’acronimo Odv, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dalle organizzazioni di volontariato” (art. 32, co. 3) e che “l’indicazione di ente filantropico, ovvero di parole o locuzioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dagli enti filantropici” (art. 37, co. 2). Il “riconoscimento” e la “valorizzazione” da parte della legge piemontese di enti filantropici ed organizzazioni di volontariato “non del Terzo settore” appare dunque alquanto problematica, potendosi generare rischi di confusione tra le qualifiche previste dal Cts e le qualifiche di ente filantropico e Odv non del Terzo settore.

Nella definizione dei soggetti destinatari della legge (art. 4) si identificano accanto agli enti del Terzo settore (co. 1: “ai fini della presente legge si considerano enti del terzo settore i soggetti di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 117/2017, iscritti al registro unico nazionale del terzo settore di cui all'articolo 45 del medesimo decreto legislativo, con sede o ambito di operatività nel territorio della Regione Piemonte”), anche le “associazioni, fondazioni e altri enti a carattere privato che, senza fine di lucro, svolgono attività di interesse generale ai sensi dell’articolo 118, quarto comma, della Costituzione, ancorché non iscritti al registro unico nazionale del terzo settore”, dei quali la Regione si impegna a promuovere e valorizzare l’operatività. La legge piemontese, quindi, come già la Toscana (art. 4, co. 4) e il Molise (art. 4, co. 3), allarga lo spettro dei possibili destinatari della normativa, configurando una platea di soggetti più ampia rispetto a quella del Terzo settore giuridicamente inteso. Le Regioni, nell’ambito della loro competenza legislativa, possono infatti definire, in attuazione dell’art. 118, quarto comma della Costituzione, proprie politiche promozionali di determinati enti collettivi, anche non coincidenti con la definizione data dal legislatore statale. Qualora siano istituite nuove categorie di enti destinatari di una disciplina promozionale regionale, quest’ultima deve però poggiare su basi diverse da quella accordata agli Ets e non costituire un’estensione delle misure promozionali già previste. Per evitare quindi di incorrere nel divieto di “omologazione tra un soggetto estraneo al Terzo settore e quelli che vi rientrano” (e quindi nella violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile; così C. cost. 131/2020), la legge piemontese delimita l’ambito di applicabilità degli istituti previsti dal codice del Terzo settore esclusivamente agli enti in possesso della qualifica di Ets.

Raccordo fra Regione ed enti del Terzo settore

Nel Capo II, dedicato al “Raccordo fra Regione ed enti del Terzo settore”, si prevede l’istituzione della Consulta regionale del Terzo settore (art. 6), nominata dal presidente della Giunta e presieduta dall’assessore alle Politiche sociali o da un suo delegato, composta in rappresentanza di tutte le parti interessate. Tra i suoi compiti (art. 7), quello di esprimere pareri e formulare proposte alla Giunta e al Consiglio regionale in materia di Terzo settore. Il Capo III contiene invece misure di sostegno e promozione del volontariato nella Regione. In particolare, l’art. 8 prevede sostegno e promozione del “volontariato organizzato” quale forma originale e spontanea di adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà da parte di ogni persona (co. 1). A differenza di quanto previsto dalla legge regionale Toscana, non viene però menzionato il ruolo del volontariato “individuale”. In aggiunta a quanto previsto dalle altre normative regionali, si prevede che il Consiglio regionale indica, annualmente, la giornata del volontariato, in corrispondenza del 5 dicembre, giornata internazionale del volontariato (co. 3).

L’articolo 3, comma 1, afferma poi che le amministrazioni pubbliche regionali (“la Regione e i suoi enti strumentali, le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale e, nel rispetto della loro autonomia organizzativa, gli enti locali singoli e le loro forme associative comunque denominate”), nell’esercizio delle loro funzioni amministrative nelle materie di competenza regionale riconoscono, valorizzano e promuovono il ruolo e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, del volontariato e delle altre formazioni sociali di cui all’articolo 1, commi 2 [enti del Terzo settore] e 3 [gli altri enti associativi non qualificati come Ets]. È una disposizione simile a quanto previsto dalla legge regionale Toscana (art. 3, co. 1), dalla legge regionale Molise (art. 3, co. 1) e, in qualche misura, anche dalla legge regionale Emilia-Romagna, che distingue però i principi in tema di esercizio di funzioni amministrative per i rapporti con Ets (art. 5) e per i rapporti con cittadini ed enti associativi non di Terzo settore (art. 6). Si tratta di un canone interpretativo per l’attività amministrativa della Regione, in grado di orientare la discrezionalità dell’amministrazione verso soluzioni di tipo collaborativo, in relazione alla funzione sociale del Terzo settore, inteso in senso ampio. L’articolo 3, comma 2, è dedicato più nello specifico al coinvolgimento attivo dei (soli) “enti del Terzo settore” anche attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione.

Rapporti fra enti del terzo settore e pubblica amministrazione

Il Capo IV è quindi dedicato ai “Rapporti fra enti del terzo settore e pubblica amministrazione”, con particolare riferimento agli istituti della co-programmazione e della co-progettazione. In questa sede non si può dar conto dettagliatamente di tutta la disciplina, ma meritano di essere sottolineati alcuni aspetti. In primo luogo, si dà attuazione a quanto previsto dal dm 72/2021 (Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore),  disciplinando l’attivazione dei procedimenti dal lato del Terzo settore, esclusivamente però con riferimento alla co-progettazione (art. 12, co. 1, lett. a). Rimane fermo che, in virtù dei principi della legge 241/90 e delle indicazioni del dm 72/2021, sarà possibile un’iniziativa del Terzo settore anche con riferimento alla co-programmazione. Come già previsto dalla legge regionale Toscana (art. 10, co. 1, lett. b; art. 13, co. 1, lett. b, n. 4), dalla legge regionale Umbria (art. 5, co. 1, lett. e) e dalla legge regionale Molise (art. 11, co. 3; art. 13, co. 1, lett. b), si prevede poi la possibilità di coinvolgimento di soggetti diversi dagli enti del Terzo settore, i quali possono partecipare – esattamente come precisato dalla legge regionale Toscana – “purché il relativo apporto sia direttamente connesso ed essenziale con le finalità e l’oggetto dell’avviso” (per quanto riguarda la co-programmazione) e “in qualità di sostenitori, finanziatori o partner di progetto e, in quest’ultimo caso, limitatamente ad attività secondarie e comunque funzionali alle attività principali” (con riferimento alla co-progettazione). Molto opportunamente si prevede poi che gli enti locali, qualora scelgano di attivare i procedimenti di co-programmazione e co-progettazione, diano attuazione ai principi stabiliti dalla legge nell’ambito della propria autonomia organizzativa e regolamentare (art. 10, co. 2; art. 12, co. 3). Tali disposizioni chiamano gli enti locali ad adottare regolamenti sull’amministrazione condivisa, così da recepire i principi generali di cui all’art. 55 Cts e quelli più dettagliati della legge regionale nell’ambito della propria autonomia regolamentare. Come sostenuto altrove, la funzione di simili regolamenti è non solo quella di fungere da guida più precisa per l’amministrazione comunale nei procedimenti di amministrazione condivisa, ma soprattutto quella di inserire sistematicamente gli istituti della co-programmazione e co-progettazione nell’ambito dell’organizzazione amministrativa comunale, regolando così, per esempio, i rapporti con i preesistenti istituti programmatori (Dup, linee programmatiche del Sindaco). Di particolare rilievo anche la previsione di una premialità per le pubbliche amministrazioni per il ricorso all’amministrazione condivisa. In analogia con quanto previsto dalla Regione Umbria (art. 16), la legge piemontese prevede all’art. 17 che la Regione, nella concessione di patrocini, finanziamenti, benefici e vantaggi economici per le attività di interesse pubblico, oggetti di bando rivolto alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali, può assegnare premialità specifiche alle reti di partenariato che coinvolgono enti del Terzo settore selezionati dalle stesse pp.aa./enti locali, in esito a un procedimento di co-progettazione o co-programmazione. Non si disciplina invece la possibilità del cosiddetto accreditamento per co-progettazione, fattispecie prevista all’art. 55, c. 3 Cts, chiarita dal dm 72/2021 (e prevista nella legge regionale Umbria, art. 14 e nella legge regionale Emilia-Romagna, art. 19). L’art. 13 prevede poi, in linea con l’art. 56 Cts, che le amministrazioni regionali, nelle materie di competenza regionale, possano sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale convenzioni oppure patti di accreditamento finalizzati allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale. Si prevedono infine disposizioni specifiche relative all’accesso al Fondo sociale europeo (art. 14), alle forme e modi per l'utilizzo non onerosa di beni mobili e immobili per manifestazioni e iniziative temporanee degli enti del Terzo settore ai sensi dell’articolo 70 del decreto legislativo 117/2017 (art. 15) e alla concessione in comodato di beni mobili e immobili di proprietà regionale e degli enti locali in attuazione dell’articolo 71 del decreto legislativo 117/2017 (art. 16).

In conclusione, l’intervento normativo piemontese va senz’altro apprezzato, anche se è ancora correggibile in alcuni passaggi, per aver adottato un’ampia prospettiva di attuazione del codice del Terzo settore, che va dall’approfondimento dei principi che regolano i procedimenti di amministrazione condivisa alla creazione di nuovi spazi, nell’ordinamento regionale, di riconoscimento e valorizzazione del Terzo settore. La legge piemontese presenta numerosi punti di contatto con le altre leggi regionali approvate tra il 2020 e il 2023, ma non va considerata una mera “fotocopia” di quelle. Rappresenta invece un punto di svolta di grande rilievo per la Regione, impegnata a trasformare profondamente il proprio approccio al Terzo settore. Una sfida che la politica (molto significativamente il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità il provvedimento) lancia ora alle amministrazioni territoriali, chiamate a dare concreta attuazione alle disposizioni legislative, e a tutto il Terzo settore piemontese.

© Foto in copertina di Anna Beatrice Romito, progetto FIAF-CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano" 

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