Acli e riforma del Terzo settore: “Meno rigidità, maggiore chiarezza e modifiche alla fiscalità”

Stefano Tassinari, vice presidente nazionale delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani solleva diverse questioni aperte che rischiano di favorire le organizzazioni più grandi e strutturate e imbrigliare la creatività. Necessario un nuovo quadro fiscale

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Le Acli Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani sono una delle reti storiche del non profit italiano, impegnate nella promozione del lavoro e dei lavoratori, l’educazione e l’incoraggiamento alla cittadinanza attiva. Organizzate in circoli, servizi, imprese, progetti e associazioni specifiche, le Acli hanno investito tempo, risorse ed energie per l’adeguamento della propria struttura alla riforma del Terzo settore.

A ribadirlo è il suo vice presidente Stefano Tassinari: un percorso importante di formazione e assistenza, soprattutto sui casi specifici, supportato anche da una piattaforma interna costruita sulla base delle voci del registro unico nazionale del Terzo settore in grado di dialogare con il registro stesso e con le strutture regionali.

Il rischio all’orizzonte, però, è che un’interpretazione troppo rigida della norma possa imbrigliare gli enti e favorire le organizzazioni più grandi e strutturate.

Tra le difficoltà sollevate da Tassinari, l’aver messo le attività come uno dei criteri di definizione – una scelta che può indirizzare un po’ troppo il percorso di un’organizzazione – e statuti sempre più corrispondenti alla legge e non alla creatività degli enti, come in alcuni casi specifici di organizzazioni che si occupano di attività sportiva.

E per quanto riguarda la fiscalità, la maggiore aspettativa è che passi il pacchetto di modifiche proposte dal Forum Nazionale del Terzo settore.

In che modo la riforma del Terzo settore ha influenzato il lavoro della sua organizzazione? Quanto è corrispondente la definizione di ente del Terzo settore alla sua realtà?

Innanzitutto la riforma ci ha caricato molto di lavoro, perché chiede di produrre una certa quantità di documentazione. Viene chiesta una maggiore trasparenza e dunque sono aumentati gli adempimenti: questo ha significato in parte organizzarsi molto nel dare maggiori servizi.

L’aspetto indubbiamente positivo è che questo obbliga a fare di necessità virtù e quindi a raccogliere più documentazione all’interno della propria organizzazione. Abbiamo per questo motivo messo in piedi alcuni strumenti, come un portale per la documentazione e l’incremento della formazione; inoltre abbiamo colto questa occasione per stimolare una riflessione su cosa è oggi l’associazione, quali compiti ha e quale ruolo può avere all’interno del Terzo settore. Tutto questo ha un costo in termini dell’incremento degli adempimenti. In più viviamo in una fase di incertezza perché alcune cose non sono ancora molto chiare. Ne cito una fra tutte: tra poco bisognerà fare il bilancio e ancora non si sa dove andranno inserite alcune attività.

La definizione di ente del Terzo settore è abbastanza corrispondente alla nostra struttura, anche se noi promuoviamo anche altri tipi di realtà che non sono enti del Terzo settore ma che comunque ci rientrano. La riforma ha questa contraddizione: la legge delega prevedeva di riconoscere il Terzo settore che c’era e la sua promozione, tracciando una cornice attorno alla realtà esistente, non di rendere questa cornice più stretta e più rigida. Di fatto nell’interpretazione delle norme e in alcune norme stesse, si è resa più rigida. Per fare un esempio: nel nostro caso ci sono delle associazioni di promozione sociale (Aps) che nascono nel territorio dalla collaborazione fra cittadini e comuni, o reti che coinvolgono altri soggetti che sono enti collettivi come il sindacato o il Comune stesso. Secondo un’interpretazione un po’ rigida della norma, questa situazione non è contemplata e alle Aps non è consentito quello che sarebbe consentito invece all’impresa sociale, dove la partecipazione degli enti locali è consentita purché siano in minoranza. Diciamo che, come in questo caso, alcune questioni di dettaglio hanno un po’ irrigidito le cose e speriamo che vengano chiarite al più presto.

La riforma chiede agli enti maggiore trasparenza, una grande attenzione alla accountability e alla rendicontazione sociale. Quali sono le azioni messe in campo dalla sua organizzazione in questo senso?

Abbiamo fatto molta formazione, comunicato alle nostre strutture le criticità e gli aspetti sui quali porre maggiore attenzione. Abbiamo reso trasparenti alcune informazioni e poi c’è tutto il lavoro del registro unico nazionale del Terzo settore su cui si stanno raccogliendo i dati.

Il codice del Terzo settore introduce un elenco specifico di attività di interesse generale. Quali sono i confini dell’attività che svolge il suo ente e che impatto ha avuto su questo la nuova definizione legislativa?

Il Terzo settore è partito da alcuni settori di attività ed è arrivato ad occuparsi di tante cose diverse e questo se vogliamo è anche la bellezza di questo mondo. Ma se da un lato la legge riprende questo aspetto, dall’altro l’aver messo le attività come uno dei criteri di definizione comporta una serie di dettagli che indirizzano un po’ troppo il percorso di un’organizzazione. La scrittura di uno statuto oggi deve seguire molto dettagliatamente quanto espresso nella legge e questo non è il massimo perché dovrebbe essere un’esperienza meno irrigidita e che rispecchi di più la natura dell’associazione, più libera, più personale. Il rischio è che i soci di ogni ente facciano uno statuto che sia più corrispondente alla legge che alla creatività del loro operato.

Poi c’è un altro aspetto: questa modalità dà un po’ troppo al Governo di turno la possibilità di decidere chi è Terzo settore e chi no, e questo è un po’ al limite dell’autonomia delle formazioni sociali. Se ad esempio andasse al Governo una formazione politica che decidesse che le attività coi migranti non rientrano in quelle del Terzo settore, enti che fanno prevalentemente quel tipo di attività si troverebbero escluse dal Terzo settore.

Alcune cose andrebbero un po’ riviste. L’attività sportiva, per esempio, è considerata di interesse generale ma riguarda fondamentalmente l’attività dilettantistica, mentre esclude la semplice attività amatoriale: puoi essere ente del Terzo settore ma di fatto sei obbligato ad essere uno degli enti e a fare attività che sono riconosciute dal Coni. Il fatto è che quando entri molto nel dettaglio tutto diventa molto più meticoloso.

Per fare un esempio: una squadra di calcio, anche un po’ competitiva, può essere considerata ente del Terzo settore; magari un teatro o un cinema parrocchiale in un territorio dove nessuno fa cultura, rischia di essere considerata non necessariamente di interesse sociale, anche se magari sono le uniche esperienze di volontariato che tengono aperto un cinema o un teatro. Sono realtà del Terzo settore che però con la riforma, se questo passaggio viene letto in maniera critica, rischiano di non esserlo più.

La riforma, quindi, obbliga anche a un lavoro di chiarimento molto impegnativo, che peraltro si sta facendo soprattutto attraverso il Forum del Terzo Settore, molto meticoloso, attento, per far sì che l’interpretazione di queste norme, visto che sono molto dettagliate, non sia rigido.

Che impatto ha avuto la riforma del Terzo settore sull’impianto organizzativo e sulla gestione della governance del suo ente?

Sull’impianto organizzativo si è dovuta aumentare molto l’assistenza e capire come gestire alcune situazioni un po’ più particolari: per esempio noi abbiamo alcune realtà che non sono Terzo settore ma fanno parte dell’associazione e quindi si è dovuto un po’ passare al setaccio regolamenti, statuti, anche dal punto di vista delle norme che indica la riforma, molto di dettaglio. Abbiamo dovuto ri-adeguare lo statuto anche su alcuni passaggi che consentissero di chiarire bene e, da un certo punto di vista, alcune cose hanno anche aiutato: certamente si è dovuto un po’ allungare gli statuti per riuscire a rispettare determinati parametri. Diciamo che la riforma ha provocato un po’ di riorganizzazione, anche perché noi abbiamo alcune realtà che pur essendo parte delle Acli hanno delle loro specificità e quindi c’è stata anche una revisione organizzativa della struttura democratica.
E poi ovviamente c’è molta formazione perché quello che chiede la riforma è un passaggio epocale. È un passaggio di maggior strutturazione per cui tutti i dirigenti sono tenuti a conoscere molto bene le norme. Si è alzata parecchio l’asticella per cui sicuramente abbiamo dovuto aumentare molto l’assistenza e la formazione.

L’impianto fiscale è ancora un grande punto interrogativo. Che conseguenze ha nella vostra organizzazione questo stato di incertezza?

In questo momento la conseguenza maggiore è il non sapere bene cosa succederà e questo crea certamente un po’ di paura perché comunque alcune cose non sono chiare e non sono praticabili. Questo, insieme ad altre cose, crea una situazione di incertezza.

La maggiore preoccupazione per noi è che passino le proposte che il Forum sta facendo su una serie di cose, che hanno unito tutti, e che non vengano ulteriormente mandate indietro.

E poi ovviamente, anche se non è direttamente la riforma che si occupa di questo, la partita dell’Iva è molto pesante e pericolosa perché lede l’autonomia delle associazioni e la libertà di associazione.  Trattare una realtà associativa di mutualità come se fosse un soggetto che fa un servizio a mio avviso è molto grave e irrigidisce molto il sistema. Il rischio è che solo le grandi strutture possano fare associazionismo e questo lede l’autonomia della possibilità che i cittadini si mettano insieme e facciano delle attività in maniera leggera e tranquilla come capita nella stragrande maggioranza dei casi del Terzo settore. Così facendo sarà sempre più difficile che il Terzo settore non sia una cosa per addetti ai lavori e che non sia nelle mani di grosse reti. E siccome la libertà di associazione e l’autonomia delle formazioni sociali è uno dei pilastri della nostra Costituzione sarebbe meglio che facessero un po’ più attenzione quando si mettono a discettare su che cosa sono le associazioni.

Il registro unico nazionale del Terzo settore è operativo. Come vi siete preparati a questo passaggio?

Anche in virtù del fatto che poi arriverà anche la parte sull’autocontrollo, abbiamo immaginato che ci fossero degli operatori nei territori e un gruppo di operatori “senior”, più esperti, che stiamo formando. Parallelamente abbiamo creato una piattaforma interna costruita sulla base delle voci del registro in grado di dialogare con il registro stesso e con le strutture regionali, in grado di dare già tutta una serie di informazioni e di servizi interni, per poter avere una gestione che funzioni il più possibile anche da remoto. Se gli adempimenti aumentano e aumenta la burocrazia, quello che possiamo fare è fornire un servizio il più possibile da remoto, in modo tale che le persone possano essere assistite usando semplicemente il cellulare e collegandosi per consulenze senza bisogno di andare in un ufficio.

Grazie all’informatizzazione riusciamo a gestire più facilmente molte cose e pensiamo che il peso del dover seguire certi adempimenti possa essere un po’ più lieve perché la consulenza da remoto consente di avere un po’ più di tempo libero per fare le attività delle associazioni e non soltanto la parte amministrativa e di adempimenti.

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