Il nodo delle attività diverse e il rapporto con la Pa: la riforma vista da Anpas

Intervista al presidente nazionale Fabrizio Pregliasco che racconta il punto di vista delle 950 pubbliche assistenze presenti in Italia. Cruciale il ruolo della rete e la capacità di creare un modello unico per tutti gli enti. In attesa di un quadro fiscale certo

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Una spinta di responsabilizzazione e di attenzione: è questa la funzione della riforma del Terzo settore per Francesco Pregliasco, presidente nazionale Anpas, storica rete associativa nazionale che conta oltre 950 pubbliche assistenze in 19 regioni. Una rete che ha colto a tempo debito la sfida in termini di trasparenza, correttezza ed eticità dettate dal nuovo impianto normativo, nonostante il quadro di incertezza sulla fiscalità renda il processo più complicato. Nata nel 1904, l’organizzazione di volontariato Anpas ed è la più grande associazione nazionale di volontariato laico che si occupa di soccorso e servizi socio-sanitari, impegnando circa 101mila volontari associati. Tra i nodi urgenti evidenziati da Pregliasco, c’è il chiarimento sulla gestione delle attività diverse da quelle di interesse generali previste dall’articolo 6 del codice del Terzo settore (Cts), su cui si attende la pubblicazione ufficiale del decreto ministeriale. Senza dimenticare gli scenari aperti dalle norme sul rapporto tra pubblica amministrazione e Terzo settore, in particolare la gestione di accordi e convenzioni, come nel caso del trasporto sociale e sociosanitario su gomma.

In che modo la riforma del Terzo settore ha influenzato il lavoro della sua organizzazione?
Quanto è corrispondente la definizione di ente del Terzo settore alla sua realtà?

La riforma del Terzo settore, pur se ancora non completamente definita, ci ha dato una spinta di responsabilizzazione e di attenzione, riprendendo nello spirito e nelle funzioni - e ci auguriamo ancora di più nell’operatività - quello che Anpas rappresenta sin dal 1904 come rete nazionale. Un primo elemento che abbiamo attuato, ormai già da due anni, è il codice etico “Essere Anpas”: una scelta che va al di là degli aspetti dichiarativi, della mission o della vision, e che ha l’obiettivo migliorare la qualità e far crescere le stesse pubbliche assistenze. Oltre a questo, siamo intervenuti su aspetti pratici che riguardano scelte di trasparenza, di correttezza, di eticità. È stato un lavoro importante che ha coinvolto tutta la nostra struttura, i comitati regionali e le nostre associate. La riforma del Terzo settore ha determinato una maggiore responsabilizzazione delle associazioni ed una valorizzazione del concetto di ‘rete’. Penso all’art. 57 del Cts, che riguarda i servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza. Questo articolo, in relazione anche con quanto definito dai precedenti (55 e 56), che regolano le modalità di co-programmazione e co-progettazione tra pubblica amministrazione ed enti di Terzo settore, definisce le modalità in cui i servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza possono essere svolti in accordo con le organizzazioni di volontariato, aderenti ad una rete associativa, e nel rispetto di determinati criteri.  Esattamente come avevamo chiesto ed evidenziato in fase di costruzione della riforma, in questo articolo possiamo constatare un ruolo operativo delle reti. Si tratta di un passaggio importante che sancisce la corresponsabilizzazione nella gestione, che è un elemento di operatività oggettiva rispetto ai principi della legge, e vuole facilitare l’adesione delle singole associazioni, o comunque degli enti del Terzo settore, a reti di coordinamento, in grado di farsi carico di istanze, interessi e problematiche che possono essere trattate solo su un livello più ampio rispetto al ‘micro’ dell’associazione, su un piccolo territorio.

Il codice del Terzo settore introduce un elenco specifico di attività di interesse generale. Quali sono i confini dell’attività che svolge il suo ente e che impatto ha avuto su questo la nuova definizione legislativa?

Come Anpas nazionale e come associate Anpas, siamo nel pieno delle specifiche delle attività di interesse generale. Il nostro problema tuttavia è quello di poter esercitare queste attività non come prescritto e come giustamente dovrebbe essere in termini di prevalenza, ossia con il mero rimborso delle spese. Stiamo aspettando con ansia l’uscita del Decreto Ministeriale di attuazione dell’articolo 6 del Cts, che riguarda invece le attività diverse rispetto a quelle di interesse generale, e prevede una deroga al limite del solo rimborso delle spese per le attività svolte come attività secondarie e strumentali. Molte delle attività che svolgiamo infatti, come ad esempio il trasporto sociale e sociosanitario su gomma, vengono realizzate in gran parte con accordi e convenzioni (grazie ai sopracitati articoli 55 e 56 e, nello specifico della nostra realtà, il 57), ma diverse volte anche in contatto diretto con l’utente, e ci aspettiamo possa esserci un margine per sostenere il resto dell’attività svolta realizzata solo con il rimborso spese, che ad oggi ancora non ha un corretto inquadramento fiscale e quindi può essere sottoposto a giudizi e interpretazioni diverse.

La riforma chiede agli enti maggiore trasparenza, una grande attenzione all’accountability e alla rendicontazione sociale. Quali sono le azioni messe in campo dalla sua organizzazione in questo senso?

Di fatto il primo approccio è stato proprio l’attivazione del codice etico “Essere Anpas”. Un altro aspetto su cui stiamo lavorando è quello di una messa a punto della valutazione dell’impatto. Inoltre ormai da diversi anni ci avvaliamo dello strumento del bilancio sociale, per il quale abbiamo vinto anche un premio. Stiamo facendo in modo che questo bilancio sociale, ora strutturato al livello della rete nazionale, venga diffuso anche tra i comitati regionali, e su questo stiamo già ottenendo buoni risultati. Lo sforzo è quello di rilanciare per le singole associazioni un modello unico che ci permetta in questo modo di valorizzare l’enorme lavoro dei centomila volontari che fanno parte delle nostre 954 associazioni su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un lavoro di contaminazione positiva che ci auguriamo raggiunga una buona capillarità.

Che impatto ha avuto la riforma del Terzo settore sull’impianto organizzativo e sulla gestione della governance del suo ente?

Un’operazione che abbiamo attuato sin dall’inizio è stata quella dell’aggiornamento dello statuto. Ci siamo sostanzialmente ritrovati nell’impianto generale, come ci aspettavamo, quindi dal punto di vista della gestione non ci sono stati di fatto particolari impatti.

L’impianto fiscale è ancora un grande punto interrogativo. Che conseguenze ha nella vostra organizzazione questo stato di incertezza?

Questo stato di incertezza ci mette in forte difficoltà proprio perché noi svolgiamo attività strumentali che sono complementari a quelle che sono le attività di interesse generale. La legge 266 del 1991, legge-quadro sul volontariato, parlava di entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali, lasciando però un certo margine alla Guardia di Finanza di fare delle disquisizioni su cosa si intendesse per marginali. È per questo che l’uscita del decreto ministeriale di attuazione dell’articolo 6 del Cts, che si sa già essere stato firmato ma di cui vogliamo vedere il testo su Gazzetta Ufficiale.

Il registro unico nazionale del Terzo settore sarà presto operativo. Come vi state preparando a questo passaggio?

Si tratta per noi di un elemento a lungo atteso, perché avrà una serie di conseguenze molto importanti di riconoscimento della rete, di valorizzazione reale dei dettati di trasparenza e correttezza gestionale in cui ci ritroviamo e che vogliamo perseguire come mission della nostra rete Anpas. Per prepararci a questo importante passaggio abbiamo fatto un grande lavoro di comunicazione, di formazione dei dirigenti delle nostre reti territoriali e dei nostri comitati regionali, ma anche vademecum per i dirigenti delle nostre associate in modo che tutti possano attrezzarsi al meglio nell’attesa che il registro unico nazionale sia veramente operativo.

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