Più tempo e meno incertezze: la riforma del Terzo settore secondo il Cnca

In un’intervista alla neo presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza Caterina Pozzi, emergono alcuni punti critici del processo normativo, dalla fiscalità all’aggiornamento delle attività di interesse generale, ma anche la capacità dell’ente di anticipare le richieste del legislatore, come nel caso della valutazione di impatto sociale

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Una delle caratteristiche del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza è la sua “biodiversità” organizzativa, un ente di secondo livello cui fanno capo 260 organizzazioni che danno lavoro a circa 10 mila operatori sociali. Cooperative sociali, certo, ma anche associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato e fondazioni, unite in un sistema che con la riforma del Terzo settore ha investito molto sulla coesione interna. Un percorso lungo, quello dell’adeguamento, iniziato nel 2019 ma spesso rallentato dalle incertezze normative, tanto da chiudersi solo lo scorso anno. Incertezze che continuano a protrarsi in ambito fiscale, in attesa che l’autorizzazione della Commissione europea permetta una maggiore pianificazione, nella speranza di non lasciare indietro nessuno e “aggiustare il tiro” con il tempo.

Ma per Cnca le difficoltà introdotte dalla riforma riguardano anche la possibilità che le attività di interesse generale, peculiari alla definizione del Terzo settore, possano “invecchiare presto” e l’impossibilità di incanalarsi nella definizione di “rete associativa”.

Se è parlato in un’intervista alla neo presidente Caterina Pozzi, prima donna alla guida dell’organizzazione, insieme al direttore Riccardo Poli.

In che modo la riforma del Terzo settore ha influenzato il lavoro della sua organizzazione?

Il Cnca è una organizzazione di secondo livello, a cui fanno capo 260 organizzazioni. La natura societaria delle organizzazioni è per lo più rappresentata da cooperative sociali ma ci sono anche associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato e fondazioni.

Come Cnca abbiamo dovuto modificare lo statuto per adattarci alle nuove tipologie associative codificate con la riforma che ha teso a uniformare le varie categorie. Una pressione all’uniformità che ci ha suggerito di dar vita ad una sorta di “gruppo” articolato in un “Cnca rete associativa” e un “Cnca di organizzazioni di volontariato”. Le varie incertezze che hanno accompagnato l’attuazione della riforma, con i rinvii nell’entrata in vigore del registro unico nazionale del Terzo settore (Runts) o i ritardi nell’adozione dei relativi decreti legislativi di attuazione, hanno avuto una influenza non sempre positiva sul nostro lavoro. Come Cnca abbiamo iniziato ad apportare gli adeguamenti nel 2019 e abbiamo completato il tutto lo scorso anno.

Quanto è corrispondente la definizione di ente del Terzo settore alla sua realtà?

Penso che la definizione di attività di interesse generale rappresenti un buon compromesso per dare fondamento e veste giuridica al lemma “Terzo settore”, facendolo uscire dal mero lessico sociologico. Un cambiamento, peraltro, ancora non del tutto completato a 7 anni dal varo della legge, perché in comunicazione ancora si usa parlare di Terzo settore e volontariato per distinguerli. Aver previsto nel codice del Terzo settore con l’articolo 5, la lista di singole attività con le quali in pratica si andrebbe a sostanziare questo interesse generale, forse è stato un errore perché questo elenco invecchierà facilmente e quindi sarebbe stato meglio poterlo più agevolmente modificare con provvedimenti di altro tipo, diversi dalla modifica parlamentare di legge.

La riforma chiede agli enti maggiore trasparenza, una grande attenzione alla accountability e alla rendicontazione sociale. Quali sono le azioni messe in campo dalla sua organizzazione in questo senso?

Come Cnca abbiamo da sempre avuto attenzione al tema della trasparenza in primis verso i nostri associati. Abbiamo preso sul serio il tema della rendicontazione sociale e più in particolare dell’impatto sociale. Dal 2019 abbiamo avviato una collaborazione con una spin off dell’Università di Tor Vergata per dare vita ad un sistema di misurazione dell’impatto, che abbiamo concretamente sperimentato in alcune progettualità nazionali e abbiamo poi messo a disposizione di tutte le nostre associate. Attraverso questo ambiente digitale si ha anche la possibilità di realizzare il bilancio sociale secondo i criteri e le linee guida definiti dal Ministero.

Che impatto ha avuto la riforma del Terzo settore sull’impianto organizzativo e sulla gestione della governance del suo ente?

Come Cnca siamo passati negli ultimi 20 anni da diverse stagioni di cambiamento organizzativo e di governance, che sono state influenzate anche da modifiche di contesto legislativo. Quando i primi anni 2000 venne modificato il titolo V° della costituzione varammo la strategia di dar vita alle federazioni regionali e adattammo la governance ad un modello dove le “periferie regionali” erano sempre più centrali. Si veniva però da un ventennio di storia dove il carisma dei fondatori aveva ancora peso. Adesso con la riforma del Terzo settore torna il valore di un centro chiamato rete, che come Cnca vogliamo intendere come rete associativa dove possa venire valorizzata la nostra “biodiversità” organizzativa. Una rete associativa unita per coesione piuttosto che per adesione a un decalogo di principi o ad un leader. Da questo punto di vita la riforma fissando l’asticella per dimensionare e riconoscere il peso delle reti a 100 e 500 associati ci ha un po’ penalizzato, rispetto ad altre compagini associative. Siamo una realtà che associa 260 enti ma dove lavorano oltre 10mila operatori sociali e questo dato si va a perdere per effetto del mero dato legislativo.

L’impianto fiscale è ancora un grande punto interrogativo. Che conseguenze ha nella vostra organizzazione questo stato di incertezza?

L'incertezza sull'operatività del nuovo regime fiscale (siamo in attesa dell'autorizzazione della Commissione Europea) non è d'aiuto ai fini del processo trasformativo richiesto al Terzo settore. Non è semplice definire quali saranno le conseguenze dal punto di vista fiscale e l'auspicio è che il legislatore intervenga quanto prima per chiarire alcuni profili che risultano poco chiari ma di estrema importanza.

La riforma nonostante le criticità attuali potrà essere un importante strumento ma bisogna accompagnare il Terzo settore in questo passaggio, c'è bisogno di tempo e meno incertezze. Semplificare l'apparato burocratico, renderlo accessibile a tutti e non ancora più complesso come accade sempre. Nella riforma fiscale si è ragionato troppo a compartimenti stagni, senza considerare tutte le tipologie di realtà “enti del Terzo settore”, spesso penalizzando i più piccoli. Ovviamente la speranza è che dal momento in cui entrerà in vigore il nuovo impianto fiscale ci sia una partecipazione anche dei soggetti interessati e una condivisione delle complessità affinché venga "aggiustato il tiro" tenendo in considerazione le esigenze di un settore fondamentale.

Il registro unico nazionale del Terzo settore è operativo. Come vi siete preparati a questo passaggio?

Il Runts è una operazione ambiziosa, in sé positiva, ma molto complessa e in certi passaggi e procedure pure complicata. Per affrontare il passaggio abbiamo attivato delle consulenze e dei supporti che ci hanno aiutato a superare le difficoltà per entrare nel vivo dell’operatività del registro.

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