IL SIGNIFICATO DI “TRASPARENZA” PER GLI ENTI PRIVATI

L'inquadramento generale e le coordinate giuridiche

La nozione e la disciplina della “trasparenza” è stata molto approfondita con riguardo alla pubblica amministrazione. Minore attenzione, invece, è stata dedicata a cosa significhi “trasparenza” per gli enti privati, ed appare strategico sviluppare una riflessione in una prospettiva giuridica e culturale su questo tema.

La trasparenza, come definita in termini generali da Albert Meijer, può essere intesa come “disponibilità di informazioni su un soggetto che consente agli altri attori di monitorare il lavoro e la performance di questo attore”.

La trasparenza è, quindi, sempre una relazione fra due soggetti, presuppone a monte una attenta selezione di informazioni relative ai soggetti coinvolti nella relazione e la predisposizione di mezzi adeguati a far sì che tali informazioni siano facilmente raggiungibili ed idonee a soddisfare il fine cui la trasparenza tende (perché tali informazioni sono state scelte e rese pubbliche?). La trasparenza, infatti, può essere considerata non come un valore in sé bensì come un mezzo rispetto ad uno scopo più ampio.

Nella pubblica amministrazione la trasparenza è definita dal legislatore come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1, c. 1, del decreto legislativo n. 33/2013, vero e proprio “codice della trasparenza”). Gli strumenti predisposti dall’ordinamento in questo ambito sono diversi: dall’accesso civico generalizzato, al diritto di accesso “classico” previsto dalla legge n. 241/1990, a misure ampie di pubblicità tramite siti web.

La trasparenza, in questo caso, è funzionale ad assicurare il controllo democratico sulla pubblica amministrazione da parte dei cittadini e delle formazioni sociali, la tutela dei diritti e degli interessi legittimi degli individui, oltre che l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa.

La Corte costituzionale ha precisato che “in nome di rilevanti obiettivi di trasparenza dell’esercizio delle funzioni pubbliche, e in vista della trasformazione della pubblica amministrazione in una casa di vetro, il legislatore ben può apprestare strumenti di libero accesso di chiunque alle pertinenti informazioni, [ma] resta tuttavia fermo che il perseguimento di tali finalità deve avvenire attraverso la previsione di obblighi di pubblicità di dati e informazioni, la cui conoscenza sia ragionevolmente ed effettivamente connessa all’esercizio di un controllo, sia sul corretto perseguimento delle funzioni istituzionali, sia sul corretto impiego delle risorse pubbliche” (Corte costituzionale, sentenza n. 20/2019).

Il giudice costituzionale mette tuttavia in evidenza un rischio molto concreto: se la trasparenza non è ben “governata”, può prodursi un paradossale effetto di “opacità per confusione” derivante da una “indiscriminata bulimia di pubblicità”.

Alcune coordinate concettuali, quindi, sono necessarie.

La trasparenza deve essere concettualmente distinta dalla pubblicità.

La pubblicità è una condizione statica di un atto o di un procedimento, che riguarda il regime di conoscibilità ed accessibilità. Ben potrebbe accadere, però, che un atto sia pubblico ma non sia affatto trasparente. Ad esempio, si pensi ad un atto che contenga una esposizione di dati difficilmente comprensibile, con ricorso a sigle o a codici alfanumerici, non ordinata cronologicamente, o suddivisi fra più pagine internet, o con caratteri difficilmente intellegibili. Si tratterebbe di un atto pubblico, ma non trasparente.

Si può quindi affermare che la pubblicità sia uno strumento della trasparenza, ma non la esaurisce. Al contrario, la trasparenza presuppone, oltre la pubblicità, l’aver definito con chiarezza, completezza e comprensibilità i contenuti da esporre: essa è, quindi, una nozione estremamente dinamica, che richiede un adattamento continuo rispetto ai destinatari, ai contenuti, ai fini.

La trasparenza amministrativa deve essere distinta dalla trasparenza che può essere prevista per gli enti privati e del Terzo settore. Pensare, come talora si è fatto, di estendere pedissequamente le norme previste per la pubblica amministrazione al Terzo settore è un errore di prospettiva. L’organizzazione ed il funzionamento degli enti pubblici (uffici, procedimenti amministrativi, atti amministrativi, ecc.) e l’organizzazione ed il funzionamento dei diversi soggetti privati sono fra loro profondamente diversi: conseguentemente, la trasparenza deve essere pensata in forme differenti.

Laddove il legislatore o la pubblica amministrazione attribuiscano determinati vantaggi ad alcuni soggetti privati, è costituzionalmente necessario prevedere degli oneri in grado di assicurare che tali vantaggi siano correttamente fruiti ed indirizzati, e che siano previste delle forme di controllo. Diversamente, infatti, l’attribuzione di misure di favore rischia di tradursi in un indebito privilegio rispetto a tutti gli altri soggetti che, pur svolgendo la medesima attività, non hanno accesso ad analoghe misure favorevoli (Corte costituzionale, sentenza n. 417/1993).

La trasparenza, in particolare quella privata, è spesso un risvolto della promozione e risponde all’esigenza di diffondere presso il pubblico e i soggetti portatori di interesse (stakeholder) dati e informazioni sul modo in cui le finalità di un ente vengono perseguite, rendendo in tal modo evidente come è stata utilizzata la misura promozionale di cui esso è destinatario. Ciò determina non solo una rendicontazione, bensì pure un effetto legittimante (sul piano sociale e politico-istituzionale): non è solo possibile apprezzare i “risultati” di una attività (l’impatto, potrebbe dirsi), bensì pure i dati relativi al processo ed all’organizzazione, e formulare una valutazione ragionata.

La previsione di un obbligo di trasparenza, però, non è un valore assoluto. Al contrario, può generare “conflitti” con altri diritti ed interessi di rango costituzionale. Due, in particolare, emergono con maggior evidenza e delicatezza. Il primo è la tutela del diritto alla riservatezza delle persone fisiche coinvolte: trasparenza non è mera soddisfazione di curiosità, né diritto di reperire dati personali, magari agevolati dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Occorre bilanciare questi due diversi e delicatissimi interessi.

Ma pure la tutela della libertà di impresa e della concorrenza può venire in gioco (ad esempio per i soggetti che svolgono attività di impresa di interesse generale, come le imprese sociali o le cooperative sociali). Infatti, l’imposizione di una certa misura di trasparenza determina condizionamenti non indifferenti su come le attività di impresa sono svolte, costi significativi da affrontare, diffusione di aspetti organizzativi che potrebbero alterare gli assetti di mercato, ecc.

Si tratta di conflittualità potenziali che sono ben note nell’ambito del diritto della trasparenza: le operazioni di bilanciamento sono il “cuore” della trasparenza per gli enti privati, e “non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango” (Corte costituzionale, sentenza n. 143/2013).

Ciò richiede che una misura di trasparenza debba superare sempre un “test” che “richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014, richiamata dalla recente sentenza n. 20/2019). Si potrebbe scomporre tale test in due componenti: un test di strumentalità, al fine di verificare la connessione fra la misura di trasparenza imposta e l’obiettivo perseguito, da un lato; un test di proporzionalità al fine di verificare che, fra le varie misure possibili rispetto allo scopo, sia stata prescelta la meno “pesante” per il soggetto che ne è destinatario.

Ovviamente, non è escluso che certi livelli di trasparenza possano essere assicurati volontariamente e spontaneamente da ciascun soggetto, attraverso strumenti individuati autonomamente, al di là degli obblighi normativamente imposti. Molti enti privati stanno infatti sviluppando alcune specifiche misure in tal senso, ad esempio per ciò che riguarda le condizioni contrattuali dei lavoratori, l’acquisizione di beni e servizi, i risultati in termini di impatto ambientale, ecc.

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