LA TRASPARENZA NEI CONFRONTI DEGLI ENTI NON PROFIT E DEL TERZO SETTORE

Motivazioni e inquadramento normativo

Alcune dolorose ed eclatanti vicende hanno rappresentato un duro colpo inferto alla credibilità di soggetti “not for profit”, cavalcati con disinvoltura dai media e, talvolta, dalla politica. Uno degli aspetti oggetto di maggiore censura è stato proprio la carenza di trasparenza: si è detto, infatti, che un maggior livello di trasparenza avrebbe consentito di portare a galla evidenti abusi tempestivamente.

La richiesta di maggiore trasparenza, quindi, ha trovato una vasta eco nell’opinione pubblica, sebbene talvolta con toni enfatici o, addirittura, punitivi (la “trasparenza” come una sorta di “contrappasso” rispetto a benefici attribuiti dalla legge). Per questo, appare importante oggi impostare una riflessione sul significato che la trasparenza assume in primis nei confronti degli enti del Terzo settore.

L’intera riforma del Terzo settore, sin dalla sua presentazione attraverso le linee guida del 2014, ha avuto nella “trasparenza” uno dei temi-chiave: al fine di ricostruire le fondamenta giuridiche del Terzo settore, si dichiarava che “occorre (…) sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge”.

A tale fine, si indicavano diversi ambiti di intervento per una nuova disciplina della trasparenza: le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del Terzo settore (Ets); la comunicazione verso l’esterno di dati relativi alla situazione economica ed all’assetto sociale; l’utilizzo di bilanci armonizzati e la loro pubblicazione online; l’affidamento di servizi in convenzione al volontariato.

La legge delega n. 106/2016 ha dato indicazioni da sviluppare, orientate all’obiettivo di un innalzamento generalizzato degli obblighi di trasparenza sugli enti del Terzo settore. Il decreto legislativo n. 117/2017 (codice del Terzo settore) ed il decreto legislativo n. 112/2017 in tema di impresa sociale hanno attuato queste indicazioni.

Come si è già accennato, questa trasparenza è del tutto differente rispetto a quella prevista per la pubblica amministrazione.

Gli enti del Terzo settore sono enti privati, del tutto distinti dagli enti pubblici (ai sensi dell’art. 4, c. 2 del codice del Terzo settore, non è consentito alle pubbliche amministrazioni ed agli enti soggetti a direzione, coordinamento o controllo da parte delle stesse, assumere la qualifica di Ets), e perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di attività di interesse generale.

Il presupposto giustificativo di misure di trasparenza per gli enti del Terzo settore non è, quindi, riconducibile alla trasparenza amministrativa: per gli Ets la funzione della trasparenza è quella di offrire una forma diffusa di comprensione e di controllo da parte di soggetti portatori di un interesse (talora specificamente individuati, talaltra indeterminati: la cittadinanza, i potenziali utenti, i potenziali donatori, ecc.), sul perseguimento delle finalità e sullo svolgimento delle attività, quali presupposti che legittimano l’attribuzione di regimi agevolati e l’accesso (diretto o indiretto) a determinate risorse pubbliche.

L’orizzonte nel quale leggere la trasparenza nel Terzo settore è il principio di sussidiarietà: favorire il rafforzamento dell’autonoma iniziativa dei cittadini anche attraverso una serie di misure che mettano in evidenza capacità, competenze e conoscenze attraverso alcuni indicatori da rendere conoscibili ed accessibili ai portatori di interesse. Ed anche laddove risultassero delle difficoltà o delle criticità, la trasparenza può diventare uno strumento tramite il quale rendere evidenti le ragioni di fallimenti (talora inevitabili o comprensibili) e le azioni di correzione intraprese dagli stessi Ets.

È necessario uscire, in una prospettiva costituzionale, da una lettura della trasparenza che sia esclusivamente ansia di ostentazione di risultati positivi, oppure come logica poliziesca o di scoraggiamento di alcune attività.

In questa logica sussidiaria, si comprende come la legge delega n. 106/2016 indichi l’esigenza di “disciplinare gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d’informazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi, differenziati anche in ragione della dimensione economica dell’attività svolta e dell’impiego di risorse pubbliche (…)” (art. 4, c. 1, lett. g).

Il principio della legge delega individua due indici rilevanti, la “dimensione economica dell’attività svolta” e “l’impiego di risorse pubbliche”. Si tratta di indici che ben possono giustificare una graduazione degli obblighi di trasparenza per la rilevanza degli interessi intercettati: da un lato, infatti, vi è la necessità di assicurare una forma di tutela per attività che abbiano una dimensione economica rilevante e, quindi, coinvolgano gli interessi di creditori, utenti dei servizi, pubblica amministrazione; dall’altro, invece, l’impiego di risorse pubbliche, direttamente o indirettamente (ad esempio attraverso l’attribuzione di vantaggi fiscali), giustifica l’imposizione di un regime di trasparenza più accentuato.

Definito così il fondamento ed i caratteri specifici di una disciplina normativa degli obblighi della trasparenza per gli enti del Terzo settore, si comprende come la riforma abbia codificato una sorta di statuto della trasparenza per gli Ets.

È infine opportuno evidenziare che, qualora un soggetto decida di non entrare all’interno del perimetro del Terzo settore, collocandosi dentro gli schemi del diritto comune, vengono meno buona parte delle esigenze sopra rappresentate e, conseguentemente, la necessità di applicare misure di trasparenza specifiche.

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