L’incognita Iva per le Onlus nella riforma sul Terzo settore

In un documento redatto dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti si analizzano le criticità per questa specifica tipologia di enti che sceglieranno di diventare Ets, perdendo così il regime di esenzione attualmente applicate a diverse attività svolte

Quando entreranno in vigore le disposizioni fiscali del codice del Terzo settore, a seguito del rilascio dell’autorizzazione della Commissione europea, le Onlus saranno chiamate ad un vaglio decisivo circa la loro natura tributaria che le condurrà ad approdare, rispettivamente, nell’ambito degli “Ets commerciali” o degli “Ets non commerciali”.

La scelta, in assenza di rimodulazioni delle norme sull’Iva, non sarà né semplice, né indolore, come a più riprese sottolineato dal Forum Nazionale del Terzo settore, anche sulla scorta degli approfondimenti tecnici condotti in materia dal suo Tavolo legislativo, volti a richiamare l’attenzione dei competenti attori sull’urgenza di dare seguito a talune soluzioni emendative.

Di recente, la Fondazione Nazionale dei Commercialisti ha pubblicato un documento di ricerca (di seguito, per brevità: Documento Fnc) focalizzato su questo tema, ovvero sulle criticità all’orizzonte della disciplina Iva per le Onlus nel delicato passaggio alla qualifica di ente di Terzo settore (Ets), alla luce del quadro normativo esistente nonché degli indirizzi giurisprudenziali e di prassi prevalenti. Ne analizziamo brevemente i contenuti, così come le conclusioni avanzate, di molto accoste a quelle che lo stesso Forum ha a suo tempo delineato nelle sue prospettazioni.

Va ricordato, in primo luogo, che normativa Iva vigente prevede che una serie di operazioni, attuate dalle Onlus, sono destinatarie di disciplina di esenzione. Si tratta delle seguenti, inserite all’art. 10 del dpr n. 633/72, comma 1, secondo i numeri identificativi riportati:

15) prestazioni di trasporto di malati o feriti con veicoli all’uopo equipaggiati;

19) prestazioni di ricovero e cura, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto;

20) prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, anche se fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati;

27-ter) prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e di malati di Aids, degli handicappati psicofisici, dei minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, di persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo, di persone detenute, di donne vittime di tratta a scopo sessuale e lavorativo.

Ebbene, il codice del Terzo settore (art. 89, comma 7) ha previsto che tali esenzioni, nel passaggio “a regime” della disciplina fiscale propria, siano trasferite a beneficio non degli enti del Terzo settore in quanto tali, bensì di quelli aventi natura non commerciale, qualità da determinarsi secondo i canoni prescritti dallo stesso Codice (art. 79). Non si fatica ad immaginare che una parte non minoritaria di Onlus non potranno rientrare nella categoria “non commerciale”, e dunque dovranno abbandonare il regime di esenzione Iva, mentre un ulteriore segmento sarà costretta a valutazioni prognostiche ad alto rischio, se si pensa che la perdita in corso d’anno della qualifica di non commercialità opera retroattivamente, ossia da inizio esercizio, con conseguenze non solo di natura sanzionatoria per le operazioni effettuate, attesa l’inevitabile violazione degli adempimenti strumentali relativi (fatturazione, registrazione, comunicazioni periodiche, pagamento tempestivo),  ma anche con il vigore dell’obbligo di versare Iva mai incassata, in violazione del principio cardine della “neutralità” del tributo per il soggetto passivo.

Sulla scorta di una lettura letterale della norma recata dal Codice, l’Agenzia delle entrate, in recenti documenti di prassi, ha escluso che un’impresa sociale possa rientrare nel novero degli enti destinatari del disciplinare di esenzione Iva.

In particolare, nella risposta ad interpello n. 388/2021, ha non solo ribadito che l’impresa sociale è un ente del Terzo settore che non rientra tra i tipi non commerciali, dunque esclusa dall’esenzione Iva sulle prestazioni oggetto dell’interpello (socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale di cui al citato art. 10, comma 1, n. 27-ter, dpr n. 633 cit.),  ma non ricadrebbe neanche tra gli enti di assistenza sociale, che pure accedono all’esenzione per le operazioni precisate, adombrando che la stessa qualifica di impresa sociale (o di Ets non commerciale), sia di impedimento all’accesso al dispositivo di esenzione in quanto tale. Il documento Fnc ricorda, a tal proposito, che la Suprema Corte (ordinanza n. 12491 del 10 maggio 2019) ha affermato: (i) non sussistere, nel nostro ordinamento, un formale riconoscimento della finalità assistenziale dell’ente erogatore, con rimessione alla concreta valutazione del Giudice; (ii) la compatibilità della veste giuridica societaria con l’accesso al dispositivo di esenzione in quanto in linea con il diritto unionale, avendo la Corte di Giustizia europea affermato il principio per cui la nozione di “organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo stato membro” non esclude enti privati con finalità di lucro (CGUE, C-498/03, Kingscrest, 26/5/2005)

A tanto, si deve aggiungere che la stessa fonte disciplinare primaria in materia di Iva, ovvero la Dir n. 2006/112/CE, sviluppa un approccio alle operazioni rilevanti, incluse quelle esenti, di carattere eminentemente oggettivo, incentrato sulle caratteristiche delle stesse operazioni in relazione ai presupposti che giustificano il tributo. Nell’ambito di interesse, il relativo art. 132 precisa, a condizione che il soggetto erogatore sia autorizzato o riconosciuto dall’autorità pubblica, che gli Stati membri esentino le seguenti operazioni:

  1. b) l’ospedalizzazione e le cure mediche, nonché le operazioni a esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici e diagnostici e altri istituti della stessa natura debitamente riconosciuti;
  2. g) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale, comprese quelle fornite dalle case di riposo, effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi carattere sociale;
  3. h) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con la protezione dell’infanzia e della gioventù, effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi carattere sociale;
  4. i) l’educazione dell’infanzia o della gioventù, l’insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili;
  5. p) il trasporto di malati o feriti in veicoli all’uopo equipaggiati da parte di organismi debitamente autorizzati.

L’elenco riepilogato evidenzia il contenuto del principio enunciato dalla Cgue e richiamato dalla S.C., ossia che il diritto unionale si accosta al tema dell’esenzione sulla base di un giudizio che prescinde dalla veste giuridica dell’attuatore e si basa, in aggiunta alla natura dell’attività, su altri elementi oggettivi quali, ad esempio, il riconoscimento delle finalità di missione dell’ente attuatore.

La stessa Direttiva (art. 133), per le sole attività in sub b) ed i), rimette ai medesimi Stati membri la facoltà di subordinare alle seguenti condizioni supplementari l’accesso all’esenzione:

  • assenza di ricerca sistematica del profitto;
  • amministrazione degli enti a titolo essenzialmente gratuito;
  • pratica di corrispettivi non superiori a tariffe approvate da autorità pubbliche, o in assenza di tariffe, per importi inferiori a quelli di imprese soggette ad Iva;
  • assenza di effetti distorsivi provocati sul mercato da tali attività.

Il documento Fnc conclude sull’opportunità di rivalutare in chiave revisionale il dettato normativo del Codice che restringe l’esenzione Iva (per le operazioni più volte richiamate) ai soli Ets non commerciali, alla luce di due evidenti criticità, una di carattere operativo, l’altra di matrice giuridica.

La prima attiene alla oggettiva difficoltà in cui verrebbero a trovarsi gli operatori, ivi incluse le Onlus nel passaggio al nuovo regime, che approdano alla qualità di Ets commerciale in corso di esercizio, a causa della retroattività della previsione e delle relative conseguenze in sede sostanziale e strumentale.

La seconda riguarda il carattere più restrittivo dell’approccio, rispetto al diritto-madre unionale, che sembra essere stato adottato dal legislatore nel disciplinare il regime di esenzione Iva sulle operazioni condotte dagli Ets, e rispetto al quale occorrerebbe verificare spazi utili di allargamento ad una platea più ampia di Ets, fermo restando il disciplinare di imponibilità ad aliquota agevolata del 5% delle operazioni di cui ai nn. 18),19), 20), 21) e 27 ter) dell’art. 10 cit. svolte da cooperative sociali, e valutando altresì un’eventuale estensione di quest’ultima statuizione alle imprese sociali tout court.

 © Foto in copertina di Antonio Perroneprogetto FIAF-CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano"

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