Per una completa applicazione della sussidiarietà orizzontale
L’attuale assetto della disciplina della trasparenza per gli enti del Terzo settore (Ets) e più in generale per gli enti senza fine di lucro è, per molti aspetti, frutto di una stratificazione nel tempo di diversi interventi normativi fra loro non coordinati. Non manca una componente di casualità. Essi rispondono a diverse finalità, si riferiscono a diverse attività, presuppongono diverse modalità di realizzazione, predispongono diversi controllori.
In generale, più di recente, ha avuto la meglio una generica diffidenza e volontà di accentuare le forme di controllo alla quale, pur in diversa misura, alcuna forza politica può dirsi realmente estranea. Come uscire da questa situazione?
In primo luogo, occorre tenere ben presenti quei requisiti essenziali, di tenore costituzionale, che le norme sulla trasparenza debbono osservare: strumentalità, proporzionalità, finalità sussidiaria.
I soggetti che entrano in relazione debbono vedere soddisfatti i loro interessi: i portatori di interesse privati, che attraverso una adeguata selezione delle informazioni da rendere trasparenti possono avere una conoscenza effettiva degli elementi rilevanti e formarsi un giudizio consapevole e fondato; la pubblica amministrazione, che attraverso l’adempimento degli obblighi normativi di trasparenza, può assicurare la piena legittimità dell’attività degli enti privati, nel rispetto dei canoni di cui all’art. 97, c. 2 della Costituzione (imparzialità, buon andamento); l’ente privato stesso, il quale ha interesse ad offrire una adeguata e motivata rappresentazione della propria attività, senza semplificazioni, nonché ad attivare strumenti di efficace monitoraggio interno.
Ciò dovrebbe evitare il rischio di una “bulimia di trasparenza”.
In secondo luogo, appare importante, limitandosi ai soli enti senza fine di lucro, una riorganizzazione complessiva della materia della trasparenza. Considerando la straordinaria rilevanza che quest’ultimo tema ha assunto nel dibattito pubblico e partendo dall’assetto di fondo della legge delega n. 106/2016, si può ipotizzare una vera e propria struttura di un “transparency act”, immaginata a cerchi concentrici.
Il cerchio più ampio dovrebbe essere dedicato alle misure di trasparenza minime assicurate da tutti gli enti privati senza fine di lucro, indipendentemente dal possesso della personalità giuridica o meno, ad integrazione di quanto previsto dal codice civile. Si tratterebbe di riprendere quanto previsto dall’art. 3 della legge delega n. 106/2016, la quale prescriveva una serie di misure di trasparenza, a tutela degli associati e dei terzi, di alcuni atti fondamentali della vita dell’ente.
Appare, infatti, difficile giustificare oggi la totale assenza di informazioni accessibili su associazioni e fondazioni che, al di fuori del Terzo settore, esercitano attività di centrale importanza (anche imprenditoriali), spesso in rapporto con la pubblica amministrazione.
Si tratta, però, di ipotizzare delle forme di trasparenza adeguate alla natura dell’ente, graduate sulla base dei volumi di attività e dell’esistenza (o meno) di rapporti con l’ente pubblico.
All’interno di questo cerchio più ampio, ve n’è uno più ristretto, costituito dagli enti del Terzo settore. Per questo sottoinsieme, occorre prevedere forme di trasparenza più intense e fra loro coordinate, che non siano ripetitive di quelle sopra esposte, bensì essenziali a connotare il profilo proprio degli Ets. Il codice del Terzo settore contiene un primo intervento di razionalizzazione, molto apprezzabile, ma esso ha bisogno di meglio coordinarsi con le misure di trasparenza al di fuori del codice stesso, e può essere ulteriormente “perfezionato” e semplificato per gli enti che si trovano dentro il perimetro del Terzo settore.
Infine, ed è il terzo pilastro della riflessione, accanto agli obblighi di trasparenza imposti giuridicamente, la disciplina normativa dovrebbe assicurare un quadro efficace di incentivi finalizzati “all’incremento della trasparenza e della rendicontazione al pubblico delle attività svolte” (che è quanto prevede l’art. 75 del codice del Terzo settore limitatamente alle associazioni di promozione sociale).
In tal modo, uscendo dalla dimensione dell’obbligo giuridico, si rinvierebbe all’autonomia ed alla responsabilità di ciascun Ets la scelta dei dati e delle informazioni da mettere a disposizione dei terzi portatori di interesse e delle proprie articolazioni interne, aggiungendo volontariamente gradi di trasparenza ulteriori rispetto al livello essenziale stabilito normativamente. Ciò darebbe una rappresentazione immediata del grado di apertura alla trasparenza dell’ente, che ciascun portatore di interesse (soggetti pubblici, terzi, volontari, lavoratori, ecc.) potrebbe valutare. Valutazione che, al contrario, è difficile formulare in caso di vincolo esterno, legislativamente imposto.
All’interno di queste coordinate, la trasparenza si può tradurre, effettivamente, in uno strumento della sussidiarietà orizzontale ai sensi dell’art. 118, c. 4 della Costituzione, e non in uno strumento per svilire l’apporto degli enti del Terzo settore, attraendoli pericolosamente all’interno di una forma di controllo pubblico o costantemente esposto alla pubblica opinione.