Il patrimonio

Come deve essere costituito

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Oltre all’adozione del regolamento, agli enti religiosi al fine di accedere alla riforma del Terzo settore è richiesta la costituzione di un patrimonio destinato allo svolgimento delle attività di interesse generale. Tale disposizione, alla luce della mancanza di una previsione normativa relativa agli elementi essenziali, risulta essere la più dibattuta in materia di enti religiosi.

Nel codice del Terzo settore la dizione di patrimonio destinato appare, oltre che in relazione agli enti religiosi, anche relativamente alla possibilità offerta agli enti del Terzo settore (Ets) di costituire patrimoni destinati ad un unico affare secondo la disciplina civilistica. È chiaro che i due istituti debbano essere tenuti distinti poiché i limiti imposti dal codice civile risultano certamente ostacolanti e limitativi per la costituzione del patrimonio destinato da parte degli enti religiosi.

L’obiettivo della previsione normativa in esame è quello di imporre agli enti religiosi di evidenziare chiaramente quella parte di patrimonio che vincola all’esercizio delle attività di interesse generale non tanto al fine di limitare la responsabilità patrimoniale nei confronti dei possibili creditori (effetto auspicabile ma al momento non normativamente delineato), quanto per consentire sia la verifica della stabilità del patrimonio, sia per assicurare che i proventi delle attività di interesse generale rimangano vincolate alle medesime attività.

Nel caso in cui l’ente intendesse istituire un ramo Terzo settore, risulta preferibile interpretare la costituzione del patrimonio destinato come necessità di consentire, nel caso di estinzione o scioglimento, l’applicazione della previsione secondo cui il patrimonio residuo vada devoluto ad altri enti di Terzo settore o alla Fondazione Italia Sociale.

In termini pratici, perciò, all’ente religioso che intende entrare nella riforma, costituendo un ramo Terzo settore, è imposto di vincolare una parte del patrimonio per finalità che possono essere diverse da quelle a cui il patrimonio è già istituzionalmente vincolato. Una volta costituito il ramo e destinato ad esso il patrimonio, l’ente subisce tutti i vincoli che la legge italiana impone circa il mantenimento di quel patrimonio nell’area dell’attività di Terzo settore. Ciò significa che un ente religioso dovrà adottare un provvedimento con il quale vincola alcuni beni temporali di sua proprietà, mobili o immobili, allo svolgimento dell’attività di interesse generale, separandoli in tal modo dal patrimonio generale e impedendo che vengano destinati a incrementi patrimoniali non afferenti all’attività propria del ramo Terzo settore.

Per quanto riguarda la creazione del ramo impresa sociale, il discorso risulta differente sotto taluni aspetti. Se da un lato, infatti, la costituzione del patrimonio ricopre anche in questo caso la funzione di assicurare la stabilità patrimoniale dell’ente e l’identificazione del patrimonio utilizzato nello svolgimento dell’attività di interesse generale, dall’altro lato, il decreto sull’impresa sociale esclude esplicitamente che, in caso di scioglimento del ramo o di perdita della qualifica, l’ente abbia l’onere di devolvere il patrimonio residuo ad altri enti del Terzo settore.

Al di là dell’indubbio vantaggio che la creazione del ramo impresa sociale al momento sembra arrecare, emerge, in ogni caso, che in questa impostazione non è prevista la segregazione patrimoniale, una misura che potrebbe garantire il rispetto della struttura e delle finalità degli enti religiosi a fronte di un abbassamento delle tutele dei creditori.

Anche sotto il profilo del patrimonio sarà necessario attendere chiarimenti dal legislatore e dalle autorità competenti, soprattutto per valutare, oltre all’effettiva quantificazione, il concreto vantaggio che l’ingresso nella riforma per un ente ecclesiastico offre.

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